Cross cultural leadership – Progetto Bangui
Con l’età sento sempre più chiaramente e distintamente come sia ridicola ogni cosa che non abbia un proprio significato, una propria anima, qualunque cosa che non sia intrisa d’amore.
Marc Chagall
Esattamente un anno fa, il 13 febbraio – giorno del mio compleanno nell’era pre-Covid – atterravo a Bangui per uno di quei progetti che rimangono nel cuore.
Come è cominciato
“Te la sentiresti di seguire un progetto di Team building nella Repubblica Centroafricana? E’ commissionato dal Ministro della Salute ed è rivolto a dirigenti del ministero, direttori ospedalieri e a docenti universitari di Bangui?”
Con questa domanda, Paolo Almagioni, Responsabile Humanitas School, a fine estate 2019 sondava la mia disponibilità a partecipare al progetto di aiuto internazionale che Humanitas stava portando avanti in collaborazione con il Bambin Gesù di Roma presso l’Ospedale Pediatrico di Bangui.
“Certo che me la sento!” fu la risposta immediata, senza neanche riflettere su come, quando e perché. O meglio le mie domande arrivarono a valanga, insieme a tutti i timori, ma in cuor mio sapevo che quel Team building l’avrei fatto di sicuro. La decisione era già presa, senza conoscere ancora i particolari, come quando si intuisce che questa proposta la stavi aspettando da chissà quanto tempo.
L’amore per l’Africa, il fascino delle culture sconosciute, il richiamo all’impegno, davano a questo progetto un senso e un significato profondo, impossibile rinunciarvi!
La richiesta
La richiesta non era affatto banale, si trattava di aiutare un gruppo di eccellenti professionisti della sanità, ognuno campione nel suo campo e proprio per questo abituato a sentirsi una star, a comunicare efficacemente e a varare una cultura della collaborazione e della condivisione delle risorse – che già di per sé sono sempre scarse – immaginatevi quanto lo possano essere in uno dei paesi più poveri nel cuore dell’Africa. Vedi la storia del progetto in fondo all’ articolo.
Non solo, a trasformare uno stile di leadership fortemente gerarchico e accentratore, in uno più coinvolgente per i collaboratori, gli specializzandi e i giovani studenti di medicina.
I timori
Bé, niente male come sfida. Ma subito dopo l’entusiasta adesione cominciarono ad affollarsi nella mente timori e preoccupazioni che mi hanno tenuto compagnia per un bel pò, anzi mi hanno tenuto compagnia fino al momento in cui mi sono ritrovata in mezzo a loro, incerta fino all’ultimo se si sarebbero presentati e in quale numero, con quale spirito e con quale voglia di mettersi in discussione, quale autorevolezza sarebbero stati disposti a riconoscermi.
Sono una donna europea, sommamente ignorante della scienza medica: con quale diritto mi sarei presentata a loro e per insegnare cosa?
Questi erano i pensieri che mi frullavano in testa durante i mesi di preparazione, insieme naturalmente – e per fortuna – anche alla certezza che per fare un buon lavoro con un gruppo, non è necessario insegnare proprio niente.
Il lavoro più importante è “semplicemente” creare un clima di fiducia per fare in modo che ognuno tiri fuori il meglio di sé.
E infatti nei primi dieci minuti che ci siamo incontrati, dopo il primo giro di presentazioni, sapevo che tutto sarebbe andato bene, che nonostante tutte le differenze e gli stereotipi reciproci, avevamo in comune molte più cose di quelle che ci dividevano.
Il Team
Lavorare in un gruppo che mi ha supportato totalmente dimostrandomi fiducia è stato per me di grandissimo aiuto: Mariagrazia Bordoni, coordinatrice del progetto per Humanitas University, Ombretta Pasotti, Project Manager del progetto sanitario in RCA per l’OPBG e Licia Montagna, medical educator per Humanitas University, fin dall’inizio mi hanno aiutato con la loro esperienza, conoscenza, con le loro domande, perplessità e suggerimenti.
I nostri numerosi scambi ci hanno fatto decidere di presentarci come un team proprio a loro che team (ancora) non erano. Un team, tra l’altro, completamente femminile. Questa è stata sicuramente una mossa vincente.
Obiettivi e finalità
Il Ministro della Salute aveva chiesto la nostra collaborazione per rinforzare le capacità di leadership e di lavoro di gruppo, per promuovere un cambiamento della mentalità ospedaliera in RCA, per eliminare le autocrazie interne alle strutture e le conseguenti fragilità organizzative.
Gli obiettivi che abbiamo definito insieme erano i seguenti.
• Costruzione di un clima di fiducia e riconoscimento reciproco fra i partecipanti, docente e team allargato: più che una finalità l’abbiamo considerata la premessa indispensabile per un buon esito dei lavori.
• Creazione di una maggiore conoscenza (e da punti di vista diversi) fra i partecipanti in modo da creare un clima di fiducia reciproco.
• Sensibilizzazione e curiosità verso una cultura gestionale diversa da quella in essere, più orientata allo sviluppo e al coinvolgimento dei collaboratori e alla collaborazione con i colleghi di altre divisioni.
• Conoscenza e approfondimento del proprio stile di comunicazione e leadership come premessa indispensabile per poter, da un lato considerare il proprio come uno (e non l’unico) degli stili di comunicazione e leadership, e dall’altro intravvedere la possibilità di adeguare adattare lo stile di comunicazione all’interlocutore.
• Conoscenza delle dinamiche di base quando si lavora in team in un’ottica di collaborazione: cosa favorisce e cosa rallenta il raggiungimento di obiettivi comuni.
• Conoscenza di base di alcune tecniche di negoziazione, pratica indispensabile da mettere in atto in una logica di scarsità e condivisione delle risorse.
Partecipazione e feedback dei partecipanti
Il gruppo, modificato più volte fino a ridosso della giornata di inizio, era alla fine di 24 persone.
Fin dalle prime battute il gruppo ha partecipato con entusiasmo e generosità mettendosi in gioco sempre di più via via che i contenuti si facevano più delicati e potenzialmente spinosi.
La prima parte, centrata sui diversi stili di comunicazione, è stata maggiormente guidata e il lavoro fra colleghi si è limitato a un primo avvicinamento fra persone che si conoscevano, ma che non avevano mai avuto l’occasione di un confronto più intimo.
Oltre al manifestato interesse per il tema proposto, è stato un buon momento per approfondire la conoscenza reciproca e mettere le basi per la costruzione di una relazione di fiducia.
Il secondo grande tema è stato quello della leadership, dove il gruppo si è messo in gioco più in prima persona.
Abbiamo preso ad esempio Nelson Mandela per analizzare i diversi stili di leadership.
Man mano che il lavoro procedeva, i partecipanti sono stati sollecitati a identificare anche comportamenti non utili presenti all’interno della loro organizzazione e le possibili azioni per modificare tali storture. Questa parte è stata particolarmente delicata ma le persone coinvolte hanno lavorato con molto affiatamento, sincerità e franchezza. Non ci sono state né accuse reciproche né elusioni del problema, ma una descrizione critica di pratiche dannose e l’identificazione di possibili strategie migliorative.
La parte finale si è focalizzata sul lavoro fra gruppi diversi e l’utilizzo delle risorse in modo collaborativo: anche questa attività ha evidenziato come una scarsa collaborazione possa generare in campo medico errori e sprechi di risorse, in particolare in una realtà già molto povera.
La valutazione dei partecipanti è stata estremamente positiva. Tutti hanno sottolineato l’utilità di apprendere conoscenze e tecniche utili, ma soprattutto è stato apprezzato il clima di fiducia e di supporto reciproco che si è creato.
“Abbiamo rotto il nostro muro di Berlino” e “ Ora quando avrò un problema so di avere un gruppo di riferimento a cui chiedere aiuto” sono state due espressioni particolarmente significative del clima finale e delle aspirazioni per il futuro.
Problemi e sorprese
L’organizzazione è stata ricca di imprevisti e di colpi sedi scena all’ultimo minuto.
Spesso, i nostri schemi organizzativi si sono confrontati con tempistiche meno rigorose che hanno rallentato la programmazione dell’atelier di lavoro.
Fino all’ultimo non sapevamo quante persone si sarebbero presentate in aula, se avessero ricevuto il materiale che era stato inviato loro.
Anche i presidi a nostra disposizione erano incerti e nei giorni immediatamente precedenti all’atelier, abbiamo avuto momenti di incertezza per le lunghe e improduttive attese vissute, nel tentativo di organizzare correttamente l’aula.
Naturalmente tutto questo è stato per me, impaziente e veloce, una splendida palestra per esercitare l’arte della pazienza, dell’adattamento ai tempi più lenti e ovviamente al cambiamento continuo del programma.
Ma è stato anche interessante vedere come, in condizioni di incertezza, sono emersi ingegno e creatività nella risoluzione dei problemi.
Un esempio per tutti è stato quando, dopo una serie di interruzioni della corrente elettrica, che non ci permetteva di vedere slide e video, non si sa come, non si sa da chi, sono saltati fuori una serie di misteriosi aggeggi (mai visti in vita mia prima), che connettendo diversi computer hanno permesso di riprendere la visione continuare il nostro lavoro.
Oppure, alto motivo di sorpresa per me, osservare l’ordine con cui organizzavano le discussioni di gruppo con un rispetto dei turni di parola e attenzione all’ascolto, impensabile per noi italiani.
Questo a ulteriore dimostrazione di come gli scambi culturali siano sempre un’occasione di apprendimento reciproco e di grande arricchimento personale e professionale.
Come continuare
A conclusione dei lavori tutti, ministro compreso, avevano espresso il desiderio di continuare il lavoro.
Così, in mancanza di altre risorse, abbiamo dato la nostra disponibilità a seguirli a distanza.
Al nostro rientro in Italia pensavamo che il più era fatto e, personalmente, mi prefiguravo un momento in cui godermi il successo di questa bellissima esperienza, per poi con calma riprendere le fila del discorso.
Ma era fine febbraio 2020 febbraio e dopo un paio di giorni sarebbe iniziata “l’epoca Covid”.
Brutalmente ognuna di noi è stata catapultata in una realtà che nessuno si immaginava.
Il Progetto Bangui è rimasto sullo sfondo, anche se i contatti sono rimasti.
Naturalmente abbiamo ricevuto notizie sulla situazione in Repubblica Centro Africana, sulla diffusione del virus e purtroppo sulle difficili condizioni di salute di qualche persona che al nostro progetto aveva partecipato.
La penuria dei presidi sanitari è inimmaginabile (non solo per la gestione del Covid) e nel mese di maggio, con l’aiuto di Cristian
Fracassi sono state inviate le famose maschere da sub trasformate in respiratori.
Le lezioni online di formazione dei medici stanno riprendendo, ma nel frattempo – dopo le elezioni a dicembre – sono riprese le lotte intestine e la violenza purtroppo coinvolge anche i civili.
Ora più che mai sento che ognuno di noi ha il compito di contribuire, per quel che può, a creare un futuro sostenibile.
Ancora di più sono convinta che sia tempo di costruire una leadership per il dopo Covid, una leadership che abbia significato e che sia al di fuori di modelli codificati. Per questo non vedo l’ora di riprendere il lavoro interrotto.
Per il mio compleanno abbiamo raccolto fondi per il Pronto Soccorso d’urgenza dell’Ospedale Pediatrico di Bangui e siamo riusciti a comprare 5 apparecchi x aerosol e la “testa” dell’otoscopio. Grazie a tutti gli amici che hanno partecipato!
Storia del progetto
Dal 2016, a seguito della visita di Papa Francesco a Bangui nel novembre 2015, l’Ospedale Bambino Gesù ha avviato una collaborazione con l’Ospedale Pediatrico di Bangui e la locale Università, messi a dura prova dalla guerra civile, per ricostruire un adeguato percorso di formazione per studenti medici e specializzandi in pediatria. Ha inoltre provveduto alla ristrutturazione del centro Pediatrico di Bangui e costruito una nuova ala interamente dedicata alla re-nutrizione terapeutica dei bambini malnutriti.
La gestione complessiva delle attività dell’ospedale centrafricano è garantita dal personale locale affiancato da esperti di Medici con l’Africa- CUAMM e Action contre la Faim , due delle maggiori organizzazioni non governative sanitarie che si occupano di promozione e tutela della salute delle popolazioni africane.
Dal 2018 Humanitas University affianca l’ospedale Bambino Gesù nel progetto mettendo a disposizione le proprie competenze per la didattica e offrendosi per ospitare medici della RCA per specifici percorsi formativi.