Siamo cittadini onesti?
In tempi di referendum ed elezioni, le discussioni sull’onestà dei nostri politici si moltiplicano e il disagio per la mancata trasparenza della classe politica è diffuso in tutto il nostro povero Paese.
Ancora oggi mi ricordo molto bene una discussione con un taxista a proposito degli esempi negativi dei nostri politici avvenuta qualche anno fa. Il confronto era iniziato in modo piuttosto banale discutendo appunto del malessere che la stragrande maggioranza dei cittadini sente nei riguardi delle numerose testimonianze di malcostume da parte di coloro che ci rappresentano in Parlamento. Il taxista iniziò la sua storia raccontandomi di un episodio che aveva vissuto personalmente e che ancora lo disgustava a distanza di anni. In buona sostanza il fatto consisteva in questo: ai tempi in cui c’era ancora il servizio militare, il signore in questione – su sollecitazione della madre e con l’aiuto di una persona amica che l’aveva messo in contatto con un politico di sua conoscenza – aveva chiesto un piccolo aiuto per essere esonerato dall’obbligo di leva. ‘Del resto – argomentava il mio interlocutore – ero in una situazione economica precaria, avevo appena iniziato a lavorare e quel poco che guadagnavo faceva molto comodo in famiglia…’
Il contatto era giusto, perché effettivamente la sua richiesta era stata accolta e il ragazzo di un tempo aveva evitato il servizio militare. Ma quello che lo colpiva e disgustava era quanto successo a distanza di diversi anni: un giorno ricevette la telefonata della segreteria del signor politico che gli ricordava il favore ricevuto e che in cambio gli chiedeva la disponibilità di qualche giornata per andare a volantinare per la sua campagna elettorale.
‘Ma si rende conto signora – concludeva in modo indignato – di che pasta sono fatti? Questi ti fanno un favore, tengono i tuoi contatti in un archivio e dopo anni vengono a reclamare quanto gli è dovuto! Che schifezza: il clientelismo in Italia è una vera e propria organizzazione a danno di noi cittadini onesti’.
Mi ricordo ancora adesso di come rimasi basita e senza parole nel mio sedile posteriore. Ma – pensavo fra me e me – come è possibile che questa persona mi racconti indignato dell’organizzazione clientelare di un politico a cui si è rivolto per un favore e neanche gli sfiori il pensiero che già la sua richiesta fosse l’atto che aveva innescato il processo clientelare? Com’è possibile dichiarare pubblicamente la propria onestà di cittadino e non avere un benché minimo dubbio che la sua esenzione dal servizio militare fosse già di per sé un atto illegale?
Esempi di questo tipo se ne possono citare a centinaia, ma quello che ho imparato con gli anni, è che in genere è molto facile accorgerci della poca onestà altrui, dei politici o di chi amministra la cosa pubblica in primis, ma è quasi impossibile accorgersi o ammettere la propria disonestà, prima di tutto verso se stessi.
Perché, cosa succede nella testa della gente, che cosa succede nella nostra testa che ci impedisce di riconoscere le nostre manchevolezze, i nostri atti illegali, piccoli o grandi che siano? È un costume tutto italiano quello di incolpare il sistema e di sentirsi ‘cittadini onesti’ anche quando chiediamo una raccomandazione o è solo un difetto del nostro taxista e più in generale di noi italiani?
Dan Ariely, professore alla Duke University negli Stati Uniti, ha studiato molto il tema dell’onestà in termini psicologici e di comportamento. Ariely afferma che l’onestà è una delle caratteristiche che più concorrono a formare un’immagine positiva di sé e dunque qualsiasi individuo, a meno che non si tratti di un criminale o di una personalità border line, ha bisogno di sentirsi onesto per avere una buona immagine di sé. Nel contempo però, molti dei suoi studi hanno dimostrato, che la maggioranza delle persone ha una buona attitudine a ‘barare’ quando ne ha l’opportunità. Ma ammettere a se stesso di aver agito in modo disonesto crea un certo malessere e dunque quello che la nostra mente fa è trovare delle piccole giustificazioni che rimpiccioliscano la nostra disonestà e dunque il nostro disagio.
Il professor Ariely ha condotto i suoi studi in tutto il mondo ed è arrivato alla conclusione che questo tratto è universale e non culturale. Dunque, se questo ci può consolare, non siamo solo noi italiani a sentirci dei bravi cittadini anche quando non ci comportiamo proprio eticamente.
Che cosa succede dunque dentro alla nostra testa?
Chiedo una raccomandazione per essere esonerato dalla leva, ma mi giustifico dicendomi che in quel momento la mia famiglia ha bisogno del mio salario. E dunque non è così grave.
Non mi faccio fare la fattura dall’idraulico, ma mi giustifico dicendomi che non mi conviene e che la chiederei sicuramente se solo fosse possibile scaricarla. E dunque non è così grave.
Trucco ad un esame ma mi giustifico dicendomi che tanto lo fanno tutti. E dunque non è così grave.
Faccio una piccola modifica edilizia senza chiedere il permesso ma mi giustifico dicendomi che le regole sono troppo complicate per essere rispettate. E dunque non è così grave.
Insomma la nostra mente ha come inserito una specie di software che minimizza le nostre colpe perché altrimenti ci sentiremo male e questo vale sia per i cittadini, sia per i dipendenti pubblici sia per i nostri amministratori.
Che fare allora, smettere di lamentarsi? No affatto! Ma magari essere più sinceri con se stessi e meno moralizzatori con il resto del mondo 🙂